Lunedì, 21 febbraio

Le riserve auree italiane

Ogni paese ha una sua riserva aurea; in passato era una vera e propria riserva d’oro detenuta da una banca centrale nazionale, a garanzia di rimborso per i depositanti, i detentori di banconote e gli operatori commerciali, oltre a supportare il valore della valuta nazionale. Ma cos’è cambiato nel corso della storia?

L’origine delle riserve auree italiane 

Durante il Medioevo, quando uno Stato necessitava di un prestito, si costituivano delle società di privati che raccoglievano il denaro necessario e che prendevano spesso il nome di «Monte»

In seguito le società di uno stesso stato confluirono tutte in uno medesimo ente, come il Monte Comune di Firenze nel 1343.

Alla fine del ’500, i mercanti che depositavano presso queste banche pubbliche le loro monete d’oro e d’argento ricevevano in cambio una “cedola” pari al valore depositato, in questo modo evitavano il rischio connesso al loro trasferimento: possiamo vedere in queste “cedole” la prima emissione di banconote.

La prima banca ad emetterle in modo continuativo fu la Bank of England, fondata nel 1694. Nasceva a questo punto però la necessità di avere delle garanzie rispetto alla carta moneta emessa e queste furono date da riserve di oro: nel 1844 in Inghilterra, in base al Bank Charter Act, tutte le banconote della Banca d'Inghilterra dovevano essere coperte da riserve auree (la nascita del Gold Standard se vogliamo). 

La Banca d’Italia nacque nel 1893 dall’unione di tre banche (la Banca Nazionale del Regno d'Italia, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Toscana di Credito), in quel momento l’ammontare delle riserve auree era di 78 tonnellate.

Nel corso degli anni si sono susseguite tutte una serie di acquisti e di cessioni (prestiti non restituiti, vicende belliche, conferimento alla BCE) per giungere così alle 2.452 tonnellate odierne che pongono il paese al terzo posto al mondo dopo Stati Uniti (8.133) e Germania (3.395).

Questo quantitativo consiste in parte in “oro monetato”, pari a 4,1 tonnellate (si tratta di 871.713 monete), mentre il resto è sotto forma di lingotti, di diversa forma e peso, ma tutti a titolo 999,9. L’ultimo acquisto di oro fu effettuato nel 1973, quando le nostre riserve toccarono il record di 2.600 tonnellate. 

Perché le riserve auree sono ancora oggi così importanti? 

C’è sempre qualcuno che avanza l’idea di vendere le riserve d’oro per finanziare in qualche modo la spesa pubblica, con la scusa che “non è più un bene redditizio”, ma questo si scontra con una semplice dato di fatto: le riserve auree non appartengono agli stati, ma alle banche centrali che, forti della loro autonomia (come abbiamo visto sono nate come enti privati) non soggiacciono alle pressioni dei vari governi, cosa che violerebbe l’articolo 108 del trattato (che impegna a non «sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri né qualsiasi altro organismo»). 

I trattati europei vietano dunque alle banche centrali di finanziare direttamente gli stati membri; inoltre fino a settembre 2019 era in essere, tra la BCE e le banche centrali (esclusa la Banca d’Inghilterra che non l’aveva sottoscritto), il Central Bank Gold Agreement (CBGA). Questo accordo, firmato nel 1999, era nato per coordinare e pianificare la vendita di oro da parte delle banche centrali, per un massimo di 500 tonnellate totali a quinquennio, ed era stato rinnovato ogni cinque anni (2004, 2009 e 2014).

E’ da considerare inoltre che:

  • l’ammontare del ricavato della vendita delle nostre riserve (circa 120 miliardi di euro) non scalfirebbe neppure il nostro debito pubblico che a dicembre 2020 ammontava a 2.569 miliardi di euro

  • la vendita anche di poche centinaia di tonnellate farebbe crollare il valore dell’oro e, quindi, se ne ricaverebbe un minore profitto

  • la cessione dell’oro darebbe un segnale estremamente negativo sullo stato economico del paese con l’inevitabile innescarsi di speculazioni

  • un’importante riserva aurea è anche una sorta di assicurazione: nel 1974 la Germania prestò all’Italia due miliardi di dollari per fare fronte alla grave crisi energetica e, come garanzia, furono impegnate un quinto delle riserve di oro. 

Quindi lasciamo l’oro dov’è. 

Dove sono custodite fisicamente le nostre riserve auree?

A Roma, in via Nazionale 91, presso Palazzo Koch, la Banca d'Italia ne custodisce 1.100 tonnellate (che comprendono la totalità delle monete d’oro), insieme ad una quota (100 tonnellate) delle riserve conferite alla BCE (nel 1999, al momento della costituzione della UEM, «Unione Economica e Monetaria»).

La parte rimanente è invece depositata all’estero ed è così suddivisa:

  • Stati Uniti > 1061,50 tonnellate
  • Svizzera > 149,30 tonnellate
  • Regno Unito > 141,20 tonnellate

Perché le riserve auree italiane sono dislocate all'estero?

La ragione principale è che quelle sono le principali piazze finanziarie del mondo dove l’oro è stato acquistato e lasciato per comodità: «earmarking» è il deposito che un paese fa del proprio oro nei caveau di un altro stato e che può passare di proprietà semplicemente spostando i lingotti da un forziere all’altro, una volta dopo averli timbrati (il termine deriva infatti dalla marchiatura con la quale veniva contrassegnato il bestiame), oggi semplicemente spostando il cartello che ne indica la proprietà, ed il gioco è fatto!

Sappiamo che la Germania ha invece preteso, ed ottenuto, di rientrare fisicamente in possesso del suo oro depositato presso la Federal Reserve degli Stati Uniti: non potrebbe farlo anche l’Italia?

Nell’aprile del 2019 il Senato aveva approvato una mozione con la quale si chiedeva di «definire l’assetto della proprietà delle riserve auree detenute dalla Banca d’Italia nel rispetto della normativa europea» e di «acquisire le notizie» su quelle detenute all’estero, oltre che sulle «modalità per l’eventuale loro rimpatrio».

Sulla proprietà e sulla gestione delle nostre riserve auree la discussione sarà sempre ricorrente ed accesa.

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