La montagna d’oro scoperta in Congo: il 60/90% del terreno è oro!

In un remoto villaggio nel Luhihi, nella provincia del Kivu meridionale, il suolo di una montagna è praticamente intriso d’oro. La concentrazione del metallo va dal 60 al 90% e ha scatenato un folle corsa all’oro da parte degli abitanti della zona che affollano la montagna con pale e strumenti rudimentali per estrarlo illegalmente.
La corsa all’oro nei video sui social: ma non è tutto oro quello che luccica
Gli abitanti dei villaggi scavano a mani nude, raccolgono il terreno e lo portano a casa per lavarlo, ovviamente senza precauzioni e non sappiamo utilizzando quali metodologie, se siano o meno pericolose e a quali rischi vadano incontro. C’è anche chi ha letteralmente caricato su carretti pezzi di terreno per poter con più calma lavarlo ed estrarre l’oro.
Le autorità hanno annunciato il divieto di attività minerarie con mezzi artigianali, dopo che la corsa all’oro nella provincia del Sud Kivu ha attirato centinaia di cercatori improvvisati e vietato persino agli stessi militari di recarsi nella zona.
Come evidenziato però dal presidente dello Sportello dei Diritti Giovanni D’Agata, il “Congo è una vera e propria montagna d’oro” ma “le sue immense ricchezze sono la sua condanna sopra le quali la popolazione muore di fame”. Le risorse hanno scatenato appetiti dei paesi vicini e di potenze lontane e hanno permesso la nascita e l’ascesa di milizie che tengono in ostaggio la regione da vent’anni.
La Repubblica Democratica del Congo infatti non è nuova a queste scoperte. L’area del nord-est è ricca di minerali come oro, ma anche diamanti, rame, cobalto e uranio. Fino a pochi anni fa, le miniere erano perlopiù di proprietà di compagnie americane ed europee. Adesso, la gran parte appartiene a società cinesi.
La violenza è diventata uno strumento di gestione delle ricchezze, come abbiamo tragicamente visto con l’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, vittime di un’imboscata tesa probabilmente da un gruppo di ribelli locali.
Secondo un rapporto dell’ONU, il traffico di oro illegale nel paese africano sarebbe ordinaria amministrazione. Lingotti, che non vengono conteggiati nelle statistiche ufficiali sull’offerta annuale globale.
Nuove miniere in zone instabili e riserve in esaurimento. I pericoli
Nell’ottobre scorso, nella regione della Siberia in Russia è stato scoperto un giacimento di oro da 40 milioni di once, pari a 1.134 tonnellate. Un paio di mesi prima, nella regione polacca della Silesia di tonnellate ne erano state scoperte ben 5.000. Pare che il Venezuela disporrebbe di oro nel sottosuolo per 10 mila tonnellate.
I nuoci giacimenti scoperti in zone instabili socialmente o politicamente non fanno che esacerbare situazioni già penose, mentre gli stati già ricchi del mondo allungano gli artigli attraverso multinazionali e il controllo indiretto di miniere illegali.
Inoltre, come per altre materie prime, non tutto il metallo esistente in un dato luogo è anche estraibile, perché non conveniente (ad esempio il costo di estrazione deve essere inferiore al prezzo dell'oro sul mercato internazionale) o semplicemente non raggiungibile. E così l’oro rimane non sfruttato nelle rocce.
Non solo, il prezzo dell’oro è manipolato dagli attori del mercato (compagnie minerarie, banche centrali,…), in particolare dal costante flusso di oro illegale, che diminuisce il valore dei dati ufficiali di oro estratto, e dalla quantità di metallo giallo detenuto nei caveau delle banche centrali (le prime dieci per quantità di oro ne posseggono tanto quanto ne verrebbe prodotto in 10 anni, 1/6 dell’intera produzione mondiale dall’inizio dei tempi) che ne provocano artificialmente una carenza, come sappiamo già accade per i diamanti.
Per questo motivo è probabile che la montagna congolese, per quanto ricca d'oro, non verrà sfruttata in tempi rapidi. O almeno non legalmente.
RJC e Orovilla, oro certificato significa lavorare per contrastare il commercio illegale dell’oro
Far parte di RJC ci ha permesso negli anni di lavorare con aziende e industrie che lavorano seguendo i rigidi principi etici dell’Extractive Industries Transparency Iniziative (EITI), come richiesto nel Code of Practice dell’RJC, un accordo che nasce dalla convinzione che un utilizzo responsabile delle risorse naturali possa contribuire ad una crescita economica sostenibile e alla riduzione della povertà, e che al contrario una gestione inadeguata comporti pesanti impatti negativi sia economici che sociali. Il principale obiettivo dell’EITI è promuovere la trasparenza nel settore delle industrie estrattive, tramite un sistema di gestione e contabilità centralizzato ed integro.
L’iniziativa è nata nel 2003 ed è rivolta a tutti i paesi che vogliono migliorare la propria gestione delle risorse naturali, rendondone trasparenti i processi e i proventi derivanti dal loro sfruttamento.
I requisiti richiesti sono molteplici:
- la supervisione del settore da parte di un gruppo multi-stakeholder, il quale deve includere le autorità governative, le aziende operanti nel settore e una rappresentanza della società civile;
- rendere pubblico il contesto legale, contrattuale e regolatorio dell’intero settore estrattivo, incluse le responsabilità statali;
- la trasparenza sulle attività esplorative dei giacimenti, sui livelli di produzione ed export;
- fornire informazioni sui pagamenti e proventi del governo e delle società operanti nel settore;
- dimostrare in che modo i profitti vengono redistribuiti o investiti;
- comunicare l’entità di spesa pubblica destinata al settore e il suo impatto sull’intera economia.
A livello delle singole imprese, è stato reso obbligatorio comunicare i cosidetti “beneficial owners” di ogni azienda operante nel settore estrattivo, cioè coloro che non sono i proprietari di diritto, ma che beneficiano indirettamente dei proventi aziendali; è quindi necessario che ciascun paese lavori adeguatamente per soddisfare quest’ulteriore requisito.
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