Titoli e marchi dell’argento

L’Inghilterra è unanimemente riconosciuta come la patria dell’argenteria, famose ed apprezzate erano le sue produzioni già al tempo dei Sassoni.

Fin dal 1300 nel paese ogni oggetto d’argento doveva essere marchiato (la punizione per le frodi era la morte!). In origine era una testa di leopardo che garantiva, sebbene non ufficialmente, il titolo di 925‰ da parte della Goldsmith Company.

Poi nel 1544 Enrico VIII mise sotto il controllo della corona la punzonatura e da quel momento il simbolo di un leone ne garantiva il titolo (in Scozia era invece raffigurato un cardo ed in Irlanda un’arpa).

Il titolo dell’argenteria è sempre stato di 925 millesimi, tranne nel periodo dal 1697 al 1720 quando venne introdotto il “Britannia Standard”, ma solo in Inghilterra, che portò il titolo a 958,4 millesimi.

Nel 1861, con l'unità d'Italia, venne introdotto un sistema univoco di punzonatura dell'argento, abbandonando così i vecchi metodi utilizzati nei vari Stati preunitari: Genova adottava infatti una torretta, il Piemonte lo scudo dei Savoia, Venezia il leone di San Marco, lo Stato Pontificio le chiavi incrociate e così via.

La Legge del 2 maggio 1872 liberalizzava la lavorazione dell'argento, introducendo solo un sistema di punzonatura facoltativa per la verifica del titolo dell'argento (solitamente il profilo di una testa di donna turrita).
Sono poi seguite negli anni diverse e più complesse modalità di punzonatura: la legge n. 305 del 5 febbraio 1934 (ed il decreto legislativo n. 313 del 26 ottobre 1944 che prescriveva l’eliminazione del fascio littorio dalla punzonatura); la legge n. 46 del 30 gennaio 1968, per arrivare al decreto n. 251 del 22 maggio 1999 (regolamentato con il Decreto del Presidente della Repubblica n.150 del 30 maggio 2002) che fissa i millesimi consentiti in Italia per la lavorazione dell’argento.

Mentre sono molteplici le percentuali d’oro che vengono utilizzate in oreficeria, con l’argento il discorso risulta più semplice: i titoli sono praticamente solo 800‰ e 925‰; sono ammessi titoli superiori, ma non inferiori che comunque non sono mai utilizzati.

Come per l’oro bisogna sempre controllare i marchi perché spesso possono trarre in inganno: nel caso dell’argento i titoli 800 e 925 debbono essere racchiusi all’interno di un logo ovale.

Oltre al titolo, deve essere sempre impresso anche il marchio di identificazione del produttore, composto da una stella, da un numero e dalla provincia.

Entrambi, dice la legge, debbono essere impressi nel punto di maggior rilievo dell’oggetto, come ad esempio la parte di maggior prevalenza per volume o peso.

Qualsiasi altra indicazione potrebbe semplicemente indicare che l’oggetto è stato ricoperto d’argento mediante un bagno galvanico (trattamento brevettato a Birmingham nel 1840), in questo caso una disposizione del 1992 stabilisce che gli oggetti debbano riportare il marchio «D.G» (deposito galvanico) e «peso g» (peso dell’argento galvanicamente depositato) e non ammette l’utilizzo di termini quali argento o argenteria.

Come sempre il consiglio è quello di rivolgersi a negozianti di fiducia.

 

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