L'oro del Reno e le antiche leggende nordiche

L’oro del Reno” è il primo dei quattro drammi musicali che costituiscono la tetralogia “L’anello del Nibelungo” composta nel 1854 da Richard Wagner.

L’opera è sicuramente conosciuta ai più per la splendida aria de “La cavalcata delle Valchirie” presente nel terzo atto (“L’oro del Reno” è il prologo; “La Valchiria”, “Sigfrido” e “Il crepuscolo degli Dei” i tre atti nei quali si suddivide il dramma).

Non vogliamo qui riassumere la lunga, e complicata, vicenda che vede protagonisti dei, giganti, ninfe e nani, vogliamo invece accennare alle leggende dalle quali trasse ispirazione Wagner.

Quali sono dunque i miti e le antiche saghe nordiche che ci parlano dell’oro del Reno?

Esistono naturalmente varie versioni dello stesso racconto: quella norrena con l’”Edda” di Snorri e la “Saga dei Volsunghi, testi scritti in Islanda attorno al milleduecento riprendendo racconti trasmessi oralmente da tempo immemore; abbiamo poi la versione tedesca con “La canzone dei Nibelunghi”.

Ma chi sono i Nibelunghi e perché è a loro associata la leggenda dell’oro? È il nome con il quale venivano indicati sia i mitici possessori di un favoloso tesoro, sia la stirpe regale dei Burgundi. Secondo alcuni il nome Nibelungo andrebbe a designare tutti coloro che entravano in possesso di questo tesoro. Plinio il Vecchio sosteneva, nella sua “Naturalis Historia”, che questa popolazione facesse parte dei Vandali, una tribù germanica di origine scandinava.

Cambiano a volte i nomi dei protagonisti ed anche la trama: tre ninfe, figlie del Reno, hanno il compito di proteggerne il tesoro, a volte il custode dell’oro è un nano, altre volte un drago, ma sempre è il tesoro il perno attorno al quale ruotano le vicende dei protagonisti. 

In questo tesoro spiccano l’anello Andvaranaut, dotato del magico potere di generare altro oro, e la verga d’oro Wunsch che avrebbe permesso il dominio su tutto il genere umano.

Qualcuno sostiene anche che nei racconti che parlano del tesoro del Reno, si sia inserito il mito del corredo funerario di Alarico sepolto nelle acque del fiume Busento (in provincia di Cosenza) che comprendeva, secondo alcune versioni, il tesoro trafugato da Tito a Gerusalemme e di cui si era impossessato il re goto durante il sacco di Roma del 410.

Ultima nota: l’anello, così come la figura del drago guardiano di immensi tesori, sono stati felicemente ripresi da Tolkien ne “Lo hobbit” prima e ne “Il Signore degli Anelli” poi, con l’autore che ha tratto ispirazione dalle medesime fonti mitologiche.

La morale che si trae da questi racconti è comunque sempre la medesima: possedere l’oro rappresenta il potere e può essere un mezzo per compiere buone azioni (Sigfrido dona l’anello all’amata Brunilde) oppure essere fine a sé stesso e allora la cupidigia può portare solo a lutti, tanto che Fafner, per avidità, uccide il fratello Fasolt.

L’oro smuove il mondo e i cuori da millenni.

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