Le monete nel Medioevo

Il Medioevo è quel periodo storico che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) alla scoperta dell’America (1492).
Questo periodo fu caratterizzato inizialmente dallo spopolamento delle città e dalla riduzione degli scambi commerciali, con la conseguente riduzione dell'utilizzo del denaro: nessun popolo barbaro, a parte i Galli, batteva moneta e vi era anche scarsità di metalli preziosi da impiegare nella monetazione. La ricchezza divenne fondamentalmente quella terriera.
Circolavano ancora i solidus aurei con l’effige dell’Imperatore (erano stati introdotti da Diocleziano, pesavano 4,5 g), ma ve ne erano sempre meno e così in Europa si utilizzava quello coniato dagli imperatori d'Oriente (che veniva chiamato bisante, da Bisanzio) e il dinar musulmano.
Si è fatto spesso cenno in questo periodo ad una moneta chiamata mancuso. Gli studiosi sono però divisi, la maggior parte ritiene che altro non fosse che il dinar arabo (dall’arabo manqūsh, ossia "coniato, inciso"), altri propendono invece per l’ipotesi che si trattasse di solidi bizantini (manus cusi, cioè “battuti a mano”).
La ripresa della monetazione viene fatta risalire all'avvento del re dei Franchi Carlo Magno nel 774. Era basata sul monometallismo argenteo, data l'estrema rarità dell'oro, con un'unica unità monetaria il denarius.
Una riforma simile si ebbe in Inghilterra grazie a re Offa della Mercia che nel 785 introdusse il penny. Multipli del penny erano lo scellino (shilling) pari a 12 penny e la libra (pound) pari a venti scellini (questo sistema monetario è sopravvissuto fino alla decimalizzazione del 1971).
Ma il commercio con i paesi arabi, che utilizzavano largamente le monete auree, portò, attorno all’anno 1000, la Repubblica di Amalfi, primo Stato occidentale, a coniare una moneta d'oro, il tarì (in arabo "fresco [di conio]") dal valore di 10 carati (41,6% di oro contenuto) ad imitazione del dinar arabo che però aveva 22 carati di titolo (916,66).
Per gli intensi rapporti commerciali con i paesi arabi, Amalfi non fu la sola, tra le città del mezzogiorno d’Italia, a copiare il dinar. Dopo la conquista normanna furono coniati da Roberto il Guiscardo prima a Palermo (1071 ca.) e poi a Salerno (verso il 1080). Con Federico II, della dinastia degli Hohenstaufen, fu chiusa la zecca di Amalfi e furono coniati nelle altre città dei multipli del tarì, con un peso che superava i 5 grammi, chiamati anche augustali.
Venezia iniziò a coniare a partire dal 1200 il grosso, una moneta d'argento pari a 10 denari, con un titolo di 965 millesimi ed un peso di 2,18 grammi.
Nel 1252 a Firenze apparve il fiorino, una moneta di 3,54 grammi d'oro puro. Quasi contemporaneamente Genova coniò il genovino d'oro (3,5 g e titolo 24 carati) e nel 1284 Venezia iniziò a battere il ducato (anch’esso a 24 carati e del peso di 3,44 g) che dal 1545 sarà poi chiamato zecchino.
Vi fu poi la necessità di avere monetine di baso valore che servissero nella vita di tutti i giorni, ecco allora i mezzi denari veneziani, gli oboli, o il quattrino di Firenze equivalente al costo di un pane.
Presto imitate in Italia e non solo, Genova, Firenze e Venezia contribuirono dunque a stimolare il ritorno del bimetallismo monetario: dopo una pausa durata secoli le monete d’oro tornavano a circolare.
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