Il dollaro e l'oro
Nel 1944 Bretton Woods, una piccola cittadina del New Hampshire (USA), vide riunirsi una conferenza internazionale alla quale parteciparono 44 paesi.
Con gli «Accordi di Bretton Woods» venne deciso che il dollaro sarebbe stata l'unica valuta convertibile in oro (l’America in quel momento deteneva il 65% delle riserve auree mondiali), al valore fissato di 35 $/oz, prezzo al quale gli Stati Uniti si impegnavano ad acquistarlo da chiunque («as good as gold»), mentre tutte le altre valute avrebbero avuto cambi fissi con il dollaro.
La conferenza sancì, tra l’altro, la nascita del «Fondo Monetario Internazionale» e della «Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo» (Birs) che diventerà poi la «Banca Mondiale». In quella occasione gli inglesi proposero anche la creazione di una moneta internazionale di conto, il «Bancor», e gli americani una “moneta universale” denominata «Unitas» pari a 10 dollari USA e quindi con valore certo di 8,8867 grammi di oro fino.
L’accordo segnò anche la fine di un'epoca, quella del predominio finanziario e monetario dell'Inghilterra e diede inizio all'egemonia monetaria e finanziaria degli Stati Unti: la moneta americana diventava la valuta di riserva mondiale.
Ma pochi anni dopo il sistema era già in crisi. Nel 1950 la bilancia dei pagamenti americani entrò in deficit e peggiorò ancora nel 1960 con l’espansione della spesa pubblica dovuta ai programmi sociali della presidenza Johnson e per la costosa guerra del Vietnam.
Nello stesso tempo si manifestò in tutta la sua evidenza il cosiddetto «Dilemma di Triffin», un economista belga che aveva messo in luce quale fosse la principale debolezza del sistema: con l'aumentare degli scambi internazionali sarebbe occorsa una sempre maggiore liquidità, una massa tale di dollari che non avrebbe più permesso di mantenere il cambio con l'oro (ovvero ci sarebbero stati più biglietti verdi in circolazione che metallo giallo con i quali scambiarli). Senza contare il fatto che il diverso andamento delle varie economie rendeva sempre più difficile per molti paesi mantenere la parità con le valute più forti.
Con la crisi del dollaro i mercati iniziarono a “coprirsi” con acquisti d’oro, conferendogli in questo modo quel ruolo di “bene rifugio” che non perderà più, e l’emorragia di riserve auree per gli Stati Uniti divenne insostenibile.
Nel 1968 venne perciò deciso che il cambio fisso di 35 $/oz valesse unicamente per le transazioni internazionali, mentre il prezzo dell’oro da quel momento avrebbe seguito l'andamento della domanda e dell'offerta (44 $/oz nel '71, 65 nel ‘72, 200 nel '74…).
L’ultima, definitiva crisi del «Gold standard» avvenne il 15 agosto 1971 quando l'amministrazione Nixon svalutò per ben due volte il dollaro e pose fine definitivamente alla convertibilità tra la moneta americana ed il metallo giallo.
Il doppio mercato dell'oro terminò definitivamente nel 1976 quando i paesi aderenti al FMI decisero di abolire il prezzo ufficiale dell'oro.
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